A me piace mettere il limone nel tè, una bella fetta tonda che galleggia nella tazza e sbatte sul naso mentre si sorseggia, ma sono irrita fuor di modo dal fatto che il tè diventi chiaro. Non mi pare più té e invece di sentirmi la confidente numero uno di Elizabeth Bennet, protagonista femminile di Orgoglio e pregiudizio scritto da Jane Austen (ma va!), mi trovo catapultata a casa di mia zia Lina a mangiar gallette stantie. Capite che fa una certa differenza.
Perché il tè diventa chiaro?
La bevanda si ottiene dall’infusione di foglie di Camelia sinensis essiccate e/o fermentate. A seguito di questi processi si formano delle molecole complesse dette flavonoidi, responsabili del colore e non solo, note come tearubigine e teaflavine. I flavonoidi sono solubili in acqua, banalmente il colore dalle foglie passa all’acqua. Se siete abili e attenti infusori come me, dimenticherete la bustina dentro la tazza per il tempo necessario a estrarre pure consistenti quantità di catechine (i flavonoidi di prima), di quelle che lasciano un bel gusto amaro che neppure il miele corregge.
Il colore del tè è influenzato dalla concentrazione di ioni idrogeno nell’acqua. L’acqua che utilizziamo comunemente è leggermente basica, pochi ioni caricati positivamente, quindi le tearubigine e teaflavine che si sciolgono generano altri composti carichi negativamente che hanno colore scuro. Il limone abbassa il pH aumentando la quantità di ioni positivi e le sostanze disciolte di cui prima reagiscono con questi dando vita a molecole, che assumono colori tenui poiché interagiscono diversamente con la luce.
Nelle uggiose giornate al cottage per intrattenere i bambini in assenza della balia, provate a mettere in infusione due bustine dello stesso tè, una in acqua acidulata e una in acqua con un po’ di bicarbonato….oppure assumete un’ altra istitutrice.
In tutto questo mai e poi mai accettate di zuccherare la bevanda con zucchero sfuso, solo zollette accidenti e il cucchiaino che sia d’argento, già che uno fantastica che tutte le cose siano a modo.